LITTLE TALK, UN VIAGGIO INSIEME A IMPRENDITORI E MANAGER | INTVW 15

Economia, impresa, attualità, lavoro, finanza: conoscere il mondo del business da vicino, grazie al punto di vista privilegiato di chi vive quotidianamente opportunità e sfide del mercato. Little Talk vuole offrire una lente d’ingrandimento su rapporti economici e dinamiche di mercato attraverso il racconto di imprenditori, professionisti e manager che ci porteranno nel cuore delle loro aziende. In ogni intervista chiederemo di rispondere a 4 domande: una breve chiacchierata per scoprire il mondo degli affari.

 

Oggi a Little Talk intervistiamo Elena Fucci, enologo di Azienda Agricola Elena Fucci

Nome: Elena Fucci

Ruolo: Imprenditore, enologo

Azienda: Azienda Agricola Elena Fucci

Settore: Agricoltura

Descrizione: Produzione e commercializzazione di vini pregiati

 

Perché fai questo lavoro?

La mia storia è un po’ particolare, parte come quella di molti ragazzi del Sud Italia, che una volta terminate le scuole superiori immaginano il loro futuro e il loro destino in qualche prestigiosa Università del Nord, senza probabilmente far ritorno al paesello se non per le feste comandate (il mio si chiama Barile, e conta 1500 anime). La mia famiglia ha da sempre dei vigneti di Aglianico del Vulture, che venivano coltivati da mio nonno Generoso (arrivato alla veneranda età di 96 anni, ma venuto a mancare ormai 1 anno fa). L’uva pregiata non veniva però trasformata ma veniva ceduta ad altri produttori della zona e non. Quando stavo terminando l’ultimo anno di superiori, mio Nonno aveva già piu’ di 70 anni, e quindi in famiglia ci domandavamo cosa avremmo dovuto fare con questi vigneti. I miei genitori erano entrambi insegnanti di scuola (adesso fortunatamente in pensione), ed io, la piu’ grande di tre sorelle, sognavo l’Università alla facoltà di Ingegneria biochimica. L’unica soluzione per quei 6 ettari di vigneto (oggi quasi 9) era venderli. Siamo alla fine degli anni ’90, qui nel Vulture c’era stato un piccolo boom intorno al mondo del vino, ed i nostri vigneti sono in una delle posizioni più vocate e pregiate per la produzione, quindi i compratori che bussarono alle nostre porte non mancarono. E fu proprio, mentre alcuni geometri prendevano misure e facevano rilievi, che realizzai come tutta la nostra vita era ruotata intorno a quei vigneti, a quella terra dove sorgeva anche la nostra casa (che per forza di cose sarebbe stata ceduta insieme ai terreni) e come sarebbe svanito tutto in un attimo. Sacrifici delle precedenti generazioni che sarebbero stati spazzati via (mio nonno con mio papà bambino emigrarono in Sud America, in Venezuela a cercar fortuna e tornarono proprio per riscattare quei terreni che da sempre mio nonno coltivava). In quel preciso momento decisi di cambiare i progetti della mia vita, incoscientemente di avventurarmi in un settore di cui non sapevo niente (avevo 18 anni, e probabilmente il vino neanche mi piaceva particolarmente, non c’era la cultura e l’attenzione che c’è oggi); dissi a mio papà letteralmente queste parole: “papà, perché non proviamo noi a fare quello che altri vorrebbero fare con la nostra terra? Proviamo a produrre per la prima volta noi il vino, per vendere c’è sempre tempo.” Mio papà fu subito felicissimo, ma ci tenni a precisare che lo avremmo fatto come si doveva. Io comunque sarei andata a studiare all’università Enologia e Scienze Agrarie (lo feci a Pisa, durante un periodo in cui l’enologia non era così in voga come oggi, e soprattutto con insegnanti che hanno fatto la storia del vino come Tachis, Gambelli e altri nomi importanti). Non si poteva certo fare un’azienda senza preparazione e soprattutto con l’avventatezza dell’idea di una diciottenne. E fu così che nel 2000 fondammo l’azienda che porta il mio nome. L’innamoramento per il mondo del vino avvenne quindi parallelamente all’avvio aziendale e agli studi.

Qual è il tuo punto di forza e quello della tua azienda?

Il punto di forza della mia azienda è sicuramente legato ai concetti di qualità senza compromessi, identità del nostro progetto, della nostra filosofia e del nostro territorio ed infine innovazione ma senza tralasciare le tradizioni.

Qualità senza compromessi perché la nostra idea è sempre stata quella di fare un prodotto di alto livello, con una cura maniacale di tutti i particolari ad ogni livello di produzione. La quantità non è mai stato un nostro problema, abbiamo lavorato sempre su basse rese e soprattutto su di un unico prodotto. Concentrare tutti i nostri sforzi su un’unica etichetta per mostrare il meglio della nostra terra. Ed è qui che si incastra anche il secondo pilastro della nostra azienda: l’identità data dalla riconoscibilità del nostro prodotto, in modo unico e la sua ripetibilità nel tempo. I nostri vini hanno una precisa identità stilistica, che si basa su quelle che sono le caratteristiche principali del nostro vitigno senza stravolgerle ma cercando di esaltarne alcune caratteristiche che per noi sono fondamentali e di successo. Ripetibilità perché ogni nostra annata, seppur diversa per gli andamenti climatici, mantiene sempre profili di eccellenza e di qualità (ne sono testimonianza gli innumerevoli premi e riconoscimenti che i nostri vini ottengono dalle critiche di settore). Ultimo caposaldo è l’innovazione: è fondamentale seguire l’innovamento tecnologico del proprio settore, poiché non è sempre vero che quello che facevano i contadini un tempo è necessariamente fatto bene e salutare. Quindi è necessario interpetrare e studiare la tradizione di chi faceva le cose prima di noi, ma applicando modelli e sistemi innovativi e sostenibili ed anche questo è stato fondamentale per il nostro successo, perché i vecchi produttori erano ancora fermi su alcuni stili di produzione che erano sbagliati per questo vitigno. Una delle mie frasi più celebri, infatti, è: siamo moderni, ma non modernisti.

Da dove deve partire un’azienda per avere successo?

Domanda difficilissima al giorno d’oggi. Credo però che si debba partire dalla preparazione e dalla professionalità. C’è troppa gente improvvisata che si getta in avventure senza preparazione (percentualmente solo pochissime volte sono storie di successo). È necessario poi fare uno studio approfondito del mercato in cui ci si vuole inserire, per capirne quali sono le criticità e le opportunità. Oggi il mercato è estremamente competitivo, lo spazio è ridottissimo, è quindi necessario avere anche fantasia nella creazione della propria azienda per offrire qualcosa che manca in quel mercato. E ci vuole tanta perseveranza, credere ciecamente nel proprio progetto, organizzarlo al meglio fin nei piu’ piccoli particolari e stringere i denti, perché gli inizi sono sempre difficili.

Qual è l’attuale scenario di mercato in cui opera la tua azienda? Quali le prospettive future?

Come dicevo poc’anzi, tutti i mercati sono estremamente competitivi, e il mondo del vino lo è particolarmente. Seppur in Italia e nel Mondo ci sia maggiore consapevolezza di quello che rappresenta il vino e di come viene prodotto, ancora si fa molta fatica nell’affermarsi pienamente. L’Italia è un paese in cui si coltiva la vite e si produce la vite in ogni suo angolo, da nord a sud, da est a ovest. L’Italia è universalmente riconosciuta per la sua qualità e la varietà di specie che si possono coltivare. Se si deve parlare di qualità, sia percepita che riconosciuta, però, sono pochissime zone a cui si da veramente valore. Ovviamente parlo di Toscana, Piemonte e in parte Veneto. Per queste regioni vitivinicole, il consumatore è disposto a pagare un prezzo più alto rispetto a un vino, per esempio, della Basilicata o della Campania. Pur riconoscendo la qualità dei vini di queste regioni, il consumatore fa fatica a pagare gli stessi prezzi. Come se la manodopera, piuttosto che l’energia e i carburanti, piuttosto che le materie prime come vetro, tappi etc… in queste regioni costassero di meno rispetto alle regioni più blasonate (semmai potrebbe essere il contrario poiché molti servizi non sono sviluppati come da loro). Spesso quindi, i vini di regioni meno note, a parità di prezzo rispetto a quelli delle regioni più note, sono qualitativamente superiori però i consumatori non lo sanno riconoscere perché sono rapiti dai nomi, senza avere una reale conoscenza del prodotto. Tralasciando questa blanda polemica, quello che posso dire senza timore di smentite è che il futuro del nostro settore è sicuramente positivo, laddove però si riesca finalmente a realizzare una maggiore sinergia tra i produttori, tra produttori ed istituzioni (senza tralasciare nessuno a vantaggio di altri) e soprattutto portando avanti il proprio lavoro con serietà. Molte volte siamo noi stessi italiani i primi detrattori del “made in Italy”. Dovremmo crederci invece di più e fare azioni reali di protezione e promozione e non sempre i soliti “spot” elettorali che poi non si concretizzano in nulla.

Non perdere la prossima intervista!

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