RESHORING: FATTORE STRATEGICO PER RIPARTIRE E INNOVARE?

Il reshoring, opposto dell’offshoring, da alcuni anni è un tema molto dibattuto.

Si tratta di un fenomeno economico che consiste nel rientro in patria delle aziende che in precedenza avevano delocalizzato la loro attività in altri Paesi come Cina o Vietnam, Romania o Serbia.

Un trend accentuato da fattori quali pandemia, crisi di fiducia verso alcuni Paesi asiatici, nuovi assetti geopolitici.  Alcuni casi emblematici di tanto in tanto rilanciano la questione: si pensi ad esempio alla azienda Bianchi – noto marchio di biciclette -, che ha deciso di riportare in Italia una parte importante della sua produzione di telai.

Nonostante questi esempi di successo, possiamo considerare il reshoring un reale fattore strategico?

Spesso ci si limita a questioni strutturali come il costo del lavoro o la normativa di un sistema paese, mentre occorrerebbe interrogarsi maggiormente su considerazioni a livello direzionale/manageriale: come la riconfigurazione della catena del valore può diventare leva di vantaggio competitivo e crescita aziendale?

Le economie occidentali (Europa e Stati Uniti) negli ultimi decenni hanno perso parte della loro competitività per via del fatto che hanno “frammentato” il processo di innovazione, allontanando da un lato ricerca e sviluppo, e dall’altro attività di produzione (delocalizzata in Paesi lontani e culturalmente molto diversi). Tuttavia, l’innovazione – specie quella manifatturiera – si fa sul campo, osservando cosa avviene in fabbrica, avendo una profonda conoscenza di opportunità e problemi lungo l’intera catena del valore. Ciò è ancor più vero nel caso della nuova rivoluzione industriale, sempre più pervasa da intelligenza artificiale, big data, soluzioni avanzate come appunto la stampa 3D.

 

I risultati dello studio “Internationalization, Value-Chain Configuration, and the Adoption of Additive Manufacturing Technologies”presentano interessanti dati da questo punto di vista. In sintesi, emerge che essere presenti in diverse nazioni è importante, ma “fino ad un certo punto” se l’obiettivo è innovare con fabbriche 4.0. Bene avere attività anche in altri Paesi, ma senza esagerare, con un presidio non troppo esteso. Diversamente, i vantaggi dell’internazionalizzazione vengono erosi da eccessiva frammentazione che indebolisce la propulsione innovativa. Ciò vale specie per le Piccole e Medie Imprese (PMI), che non hanno le risorse delle grandi multinazionali.

I dati dello studio esplorano espressamente anche tematiche di reshoring. In particolare, emerge che gli investimenti in stampa 3D possono dirsi più diffusi quando attività di ricerca e attività di produzione sono congiunte (28%), rispetto al caso di separazione geografica in più nazioni differenti e lontane (20%). Questo fenomeno è ancor più marcato quando la frammentazione dell’innovazione è organizzativa. Infatti, gli investimenti in stampa 3D sono più diffusi quando l’azienda gestisce e controlla direttamente tanto la ricerca quanto la produzione (32%), rispetto al caso in cui una di queste due attività è data in outsourcing (18%).

Il messaggio forte è che parlare di reshoring significa tutto e niente. Senza approfondire quali forme di reshoring e quali strategie andrebbero perseguite, diventa sterile chiedersi se sia un fenomeno davvero rilevante e destinato a consolidarsi. Forse questa è una delle ragioni per cui da anni si profetizza una “corsa al reshoring” che però ancora non si riscontra, quantomeno non nell’ampiezza prospettata e non da parte delle imprese italiane, dove non rileva granché citare i soliti casi d’eccellenza.

Per fare un passo in avanti è necessario comprendere meglio cosa sia esattamente il reshoring, in quali ambiti possa davvero fare la differenza, secondo quali best practices. Gli studi di Università di Pavia sottolineano come molto promettente sia il filone del reshoring finalizzato ad accrescere i livelli di innovazione interna. Tuttavia, c’è ancora molto da fare.

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